Legittimo degradare il maresciallo che utilizza espressioni offensive nei riguardi della giustizia militare e delle forze armate
Censurato lo scritto di un maresciallo dell’Arma dei carabinieri. Ignorati i limiti imposti in materia di continenza espressiva

Legittima la massima sanzione disciplinare, ossia la perdita del grado, inflitta al militare che, pur esercitando legittimamente la propria libertà di espressione, ha completamente ignorato gli obblighi imposti in materia di continenza espressiva e, così facendo, ha arrecato grave nocumento al prestigio e al decoro dell’amministrazione di appartenenza.
Questa la presa di posizione dei giudici (sentenza numero 5455 del 23 giugno 2025 del Consiglio di Stato), chiamati a prendere in esame il contenzioso sorto tra l’Arma dei Carabinieri e un maresciallo – peraltro, in congedo ed esponente di un’associazione di categoria – che è stato degradato a militare di truppa dell’Esercito Italiano dopo avere pubblicato sul sito web dell’associazione da lui presieduta uno scritto contenente giudizi fortemente critici sulla giustizia militare e sul sistema – vessatorio, a suo dire – posto in essere da alcuni ufficiali delle forze armate nei riguardi di alcuni dipendenti.
In generale, il militare è tenuto al rispetto dei doveri di contegno, come previsto dal decreto numero 20 del 15 marzo 2010 del Presidente della Repubblica, alla salvaguardia del prestigio delle forze armate e all’osservanza delle norme che regolano la civile convivenza.
A fronte di tali paletti, anche un comportamento in teoria riconducibile alla libertà di espressione garantita ad ogni cittadino e ad ogni cittadina dalla Costituzione può risultare rilevante dal punto di vista della disciplina militare, poiché le forze armate, osservano i giudici, sono regolate da un complesso di norme e principi che gli appartenenti si obbligano ad osservare e che possono legittimamente limitare alcuni aspetti della libertà di espressione.
Irrilevante, poi, secondo i giudici, anche il riferimento, fatto dal maresciallo, alla sua appartenenza ad un’associazione fra carabinieri, poiché essa non può essere qualificata come un organismo sindacale legittimamente operante nel settore militare, in mancanza, come in questa vicenda, dell’atto di assenso del Ministro della Difesa.
Per i giudici, la valutazione operata dall’Arma dei Carabinieri non è irragionevole, avendo, all’evidenza, il maresciallo ecceduto dagli obblighi di continenza, arrecando così grave nocumento al prestigio e al decoro dell’amministrazione di appartenenza, pur essendo egli, ancorché in congedo, tenuto al rispetto dei doveri di contegno che incombono sul militare.
Illogico, poi, il richiamo fatto dal militare al diritto di opinione, poiché, osservano i giudici, non è stato sanzionato l’esercizio, in quanto tale, del diritto del militare di manifestare il proprio pensiero, ma l’eccesso da un tale diritto mediante espressioni oggettivamente e gratuitamente offensive nei riguardi della giustizia militare e delle forze armate.